Se pensiamo alla Basilicata del vino il collegamento con l’Aglianico del Vulture è immediato. È il vitigno più conosciuto e l’autoctono che si fregia dell’unica Docg della regione, nella versione superiore, arrivata solamente nel 2011. Un vino vulcanico grazie al terreno su cui viene coltivato, in un areale dove a farla da padrone è la presenza del Monte Vulture, da cui appunto il vino prende il nome, un vulcano spento originato oltre centomila anni fa.

Avremo modo, attraverso tutta una serie di focus, di conoscere approfonditamente questo territorio, le aree di produzione più vocate, le caratteristiche del suolo che ritroviamo nel bicchiere e non solo, andremo a conoscere le aziende ma soprattutto le persone che rendono unico questa zona e questo vino.

“L’Aglianico del Vulture, nella versione rosso superiore, è l’unica DOCG della regione Basilicata”

Ma oggi voglio portare l’attenzione su una versione di Aglianico del Vulture sconosciuta ai più. Una piccolissima produzione. Una scommessa, se così vogliamo chiamarla, che solo qualche produttore ha voluto tentare: l’Aglianico del Vulture vinificato in bianco.

L’idea non è recente, differentemente da quanto si possa pensare. Già durante il secolo scorso, a causa della scarsa presenza di vitigni a bacca bianca sul territorio al netto di Moscato e Malvasia, i contadini usavano raccogliere, in una prima vendemmia, parte dell’Aglianico coltivato producendo una sorta di chiaretto. Questo permetteva di avere un prodotto con una più bassa gradazione alcolica ma soprattutto, un vino di facile beva.

Intorno alla fine degli anni 70, Armando Martino decise di riprendere questa tradizione ormai perduta e di affinare la tecnica per produrre principalmente basi atte alla spumantizzazione, questo grazie soprattutto alla struttura ed al tenore acidico apportato dal vitigno ma non solo, il profilo olfattivo più neutro permette di poter accentuare quelle che saranno poi le sfumature da rifermetazione.

“E’ durante gli anni 70 che Armando Martino intuisce il potenziale dell’Aglianico del Vulture vinificato in bianco”

Per arrivare all’Aglianico del Vulture bianco fermo, però, dobbiamo tornare indietro di non più di cinque o sei anni.

A seguito di quanto già fatto da Armando con le basi per lo spumante, la Casa Vinicola Martino decide di dedicare l’etichetta SINCERITÀ a questo tipo di vinificazione andando a proporre ad una nicchia di mercato un vino bianco che fosse prodotto con un vitigno autoctono lucano, che non fosse una Malvasia o un Moscato, e che conservasse alcune delle caratteristiche organolettiche tipiche del rosso più famoso della regione.

In una delle varie visite in azienda mi sono soffermata a parlare con l’enologo, Gerardo Briola, proprio dell’aglianico in versione bianco fermo. L’obiettivo è quello di migliorarsi ogni anno ma soprattutto quello di mantenere le caratteristiche organolettiche che ci si aspetta da questo tipo di vino. Quali? Senza dubbio la struttura, e poi acidità, freschezza, sapidità. Non siamo davanti ad un vino con un profilo olfattivo importante, non è un vino verticale, ma questo gli consente una versatilità che spesso viene trascurata da chi non osa approcciarsi a questo tipo di prodotto o perché non ne conosce l’esistenza o, come spesso accade, in base a decisioni predeterminate, indipendentemente da considerazioni obiettive.

La prima curiosità, pensando a questa vinificazione è: conoscendo la concentrazione di antociani presente nell’acino dell’Aglianico del Vulture e quindi il suo forte “potere colorante” come si fa ad ottenere un mosto così chiaro?

È presto detto. Mi racconta Gerardo che nel loro caso, ad ogni ciclo di carica della pressa, viene recuperato esclusivamente lo sgrondo a macchina spenta. In termini percentuali si calcola una resa che non supera il 10/13% del prodotto immesso.

Viene effettuata una chiarifica di tipo statico del mosto prima della fase fermentativa. Una volta fermentato il vino segue una fase di stoccaggio in vasche interrate di cemento vetrificato dove il prodotto viene stabilizzato e successivamente imbottigliato. Segue una sosta di 2 mesi prima di essere messo sul mercato.

“Il mosto di Aglianico del Vulture, data la forte presenza di materia colorante negli acini, necessita di una chiarifica di tipo statico”

Ho provato l’annata 2018 appena uscita ad un evento a Napoli di un paio di settimane fa dove, durante una serata focalizzata sull’Aglianico sia lucano che campano, ho voluto proporre questa chicca a tutti i partecipanti. Le delicate note floreali e la spiccata mineralità hanno conquistato tutti, è un vino ben bilanciato in cui la freschezza si contrappone al tenore alcolico che lo rende, come dicevo prima, un vino molto versatile in cui è facile giocare con gli abbinamenti. Da un tagliere di salumi ad un primo di verdure, una torta rustica oppure dei secondi di carne bianca.

“L’aglianico del Vulture vinificato in bianco è molto versatile a tavola, adatto in abbinamento a primi e torte salate di verdure, secondi di carne e taglieri di salumi”

Ma non è soltanto la Casa Vinicola Martino a produrre Aglianico vinificato in bianco. Una bellissima interpretazione di questa versione viene prodotta dalle Cantine Strapellum di Rapolla che hanno al centro del loro progetto proprio l’Aglianico del Vulture e lavorano in modo da restare sempre fedeli all’esprimere a pieno il vitigno.

Giuseppe Cuseo, il giovane socio dell’azienda, mi racconta qual è stato lo slancio per la loro idea di bianco.

La volontà della cantina è quella di dimostrare che l’Aglianico del Vulture non è un vitigno in grado di produrre soltanto grandi vini rossi ed ottime basi per la spumantizzazione, ma che può regalare soddisfazioni nella produzione di bianco fermo con affinamento in legno. Difatti, il loro NIBBIO BIANCO prevede un affinamento in barrique.

“Grazie al suo carattere neutro, l’Aglianico del Vulture vinificato in bianco si presta bene sia alla spumantizzazione sia all’affinamento in legno”

Per questo tipo di vinificazione si anticipa la vendemmia rispetto alle uve raccolte per la produzione del rosso. Si procede ad una pressatura molto soffice ed a bassa temperatura, prima della fermentazione il mosto viene già filtrato. Segue l’affinamento in barrique che può andare da un minimo di 12 mesi ad un massimo di 24. La scelta dipende dall’annata, ma dipende anche dalla barrique. Mi racconta Giuseppe che dopo il primo anno di affinamento si procede con gli assaggi da botte, e che al momento giusto viene imbottigliato un blend della stessa vendemmia ma proveniente da botti diverse. All’imbottigliamento segue poi la sosta in bottiglia, anche questa variabile, prima che il prodotto sia pronto alla vendita.

Durante il periodo di Natale ho degustato l’annata 2016. Le mie note di degustazione raccontano di un colore giallo paglierino luminoso con un tocco d’oro. Il naso è entusiasmante perché le erbe aromatiche come alloro e salvia la fanno da padrone ed i sentori iodati si confermano al sorso con una freschezza ed un finale sapido ben bilanciato dalla morbidezza.

Alle versioni in purezza si affiancano le etichette che utilizzano l’Aglianico del Vulture in blend con altri vitigni, questo sempre al netto di vini spumante.

“Alcune aziende hanno deciso di utilizzare l’Aglianico del Vulture vinificato in bianco anche in blend con altri vitigni”

Volendo fare un esempio: Cantine del Notaio produce l’etichetta IL PRELIMINARE, composta da Aglianico vinificato in bianco, Malvasia, Moscato e Chardonnay, oppure l’edizione limitata LA PARCELLA sempre con Aglianico vinificato in bianco ma questa volta in abbinamento con il Fiano.

E voi, cosa pensate delle vinificazioni in bianco di uve a bacca nera? Ne siete incuriositi? Vi invito a provare qualcuna di queste etichette ed a raccontarmi le vostre impressioni.

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2 Comments

  1. La Basilicata è una terra stupenda ed alcune versioni bianche sono davvero di livello!

    • Giuseppe,
      concordo con te su entrambe le tue considerazioni. La Basilicata, non solo del vino, inizia a scoprirsi ed a rivelare produzioni di alta qualità!
      Ti aspetto in Lucania 🙂


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